5 Gennaio 2016 Dott.ssa Francesca Scabbia

“Trasformare la Sofferenza”: Spunti per il Cambiamento!

“Tutti vogliamo essere felici, ed è pieno il mondo di libri e di insegnanti che cercano di aiutare le persone ad essere più felici, eppure nonostante ciò, continuiamo tutti a soffrire”!

Si sta sbagliando qualcosa allora? C’è qualche ragione per cui non si riesca ad essere felici?

Il maestro Thich Naht Hanh ci risponde che per assaporare la felicità non è necessario essere privi di sofferenza. Se si impara a riconoscere, abbracciare e capire la propria sofferenza, una cosa è certa: si soffre molto meno. La cosiddetta “Arte della Felicità” verrebbe dunque meglio espressa come “Arte del Soffrire Bene”!

Quando ci si focalizza sulla ricerca della felicità, il rischio è di considerare la sofferenza come qualcosa da ignorare o a cui opporre resistenza, come qualcosa che ostacola la strada.

Saper soffrire bene è il primo punto per realizzare la tanto ricercata felicità.

Può apparire come una delle cose più bizzarre e difficili da accettare, eppure la sofferenza e la felicità non sono separate anzi, si potrebbe dire che la sofferenza può essere trasformata!

L’aria fredda può far stare male se non si indossano vestiti sufficientemente caldi, ma quando ci si sente accaldati oppure, se si cammina all’aperto con un abbigliamento adatto, la sensazione tonificante dell’aria fredda può suscitare anche sensazioni di gioia e vitalità. Magari ci sono cose che danno gioia a qualcuno e che infastidiscono altri come ad esempio una giornata piovosa che rovina i piani per un picnic è invece una manna per l’agricoltore che ha il campo riarso.

Molti pensano di dover evitare ogni sofferenza per essere felici e sono costantemente preoccupati e all’erta finendo così per sacrificare la propria spontaneità, libertà e gioia.

La felicità e la sofferenza sono di natura biologica, cioè sono entrambe passeggere ed in continuo mutamento. Quando il fiore appassisce diventa concime; il concime può servire a coltivare un altro fiore. Anche la felicità è di natura biologica ed è impermanente: può diventare sofferenza, e la sofferenza può ridiventare felicità.

Succede a tutti di restare bloccati nel “concime della vita” o persino accorgersi di esserne ricoperti. La cosa più difficile in questo momento è non lasciarsi prendere dalla disperazione. Quando si è sopraffatti dalla disperazione, ovunque si guardi si vede soltanto sofferenza, si ha la sensazione che ci stia capitando la cosa peggiore.  In quel momento si deve ricordare però che la sofferenza è una specie di concime che ci serve per rigenerare la felicità, il fiore.

La principale causa di sofferenza della civiltà moderna sta nella nostra incapacità di gestire il dolore interiore, che cerchiamo di coprire con ogni genere di consumi e distrazioni. Ci sono sul mercato una gran quantità di espedienti, classici e nuovi, per aiutarci in questo. Finché non riusciremo ad affrontarla, però, non potremo essere presenti e disponibili alla vita, e la felicità continuerà a sfuggirci.

La presenza mentale è il modo migliore per stare con la propria sofferenza senza esserne sopraffatti. Quando si parla di presenza mentale si intende proprio la capacità di dimorare nel momento presente, di fermarsi e sapere che cosa succede nel qui e ora.

Essere in presenza mentale significa essere consapevoli: è l’energia che sa che cosa sta succedendo nel momento presente, che non rimugina nel passato che non fa voli pindarici nel futuro.. la consapevolezza è l’energia che ci aiuta a essere coscienti di quello che succede proprio qui e ora, nel nostro corpo, nelle sensazioni, nelle percezioni e tutt’intorno a noi.

Con la consapevolezza è possibile riconoscere la presenza della sofferenza accoglierla e accettarla!

Se ci curiamo della nostra sofferenza interiore abbiamo più chiarezza, energia e forza per essere in grado di affrontare la sofferenza dei nostri cari. Se invece siamo troppo occupati ad affrontare la nostra personale paura e disperazione, non possiamo dare una mano ad alleviare la sofferenza degli altri. Soffrire bene è un’arte: se sappiamo curarci della nostra sofferenza, non soltanto soffriremo molto meno ma potremo generare più felicità attorno a noi e nel mondo.

Questa visione propostaci dalla filosofia buddhista (e non dalla religione!) riprende alcuni concetti della Psicoterapia Sistemica che vede l’esistenza di due parti, apparentemente inconciliabili, dentro di noi; viene tradotta in metodi e tecniche psicologiche come ad esempio “l’Integrazione delle parti”. Queste due parti inizialmente distinte, ma coesistenti nella persona, che riescono successivamente ad incontrarsi, dialogare e diventare alleate.

Tratto dagli scritti di Thich Naht Hanh, monaco di origine vietnamita candidato da Martin Luther King al Premio Nobel per la pace. È oggi un personaggio molto influente nel panorama della cultura buddhista e nella diffusione della pratica della meditazione nel mondo.

Dott.ssa Francesca Scabbia

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