Una lettura del personaggio a partire dal Trauma, attraverso una spiegazione Psicosomatica, arrivando all’Appartenenza e ad un nuovo significato della sofferenza.
Ray Charles è stato un personaggio di rilievo per la musica soul e con la sua straordinaria capacità e sensibilità ha saputo coniugare differenti sonorità musicali e darne una lettura unica e di successo.
Nasce in Albany, Georgia, nel 1930 da una famiglia di umili origini. Ancora bambino, all’età di 5 anni, assiste alla morte del fratellino, affogato in una tinozza d’acqua per il bucato. Da lì a breve inizia ad avere problemi alla vista e all’età di circa 8 anni diventa completamente cieco. Ray stesso non è mai riuscito a capire davvero la causa di questo “handicap”, e numerose sono state le ipotesi che hanno provato a spiegare l’evento associandolo ad un’infezione mai curata, ad un glaucoma oppure ad un tracoma.
Nel film biografico “Ray” del 2004 diretto da Taylor Hackford viene trattata questa drammatica sequenza, emozionante e ricostruita verosimilmente. Da questa scena si evince l’accusa della madre (“Perché non hai fatto niente? Perché non mi hai chiamato?” recita nel film in lacrime di disperazione) per non aver salvato il fratello e il conseguente senso di colpa del piccolo Ray Charles.
(Immagini tratte dalla ricostruzione biografica nel film, “Ray” – 2004 – regia di Hackford)
Oggi si potrebbe rileggere l’evento in una chiave prettamente Psicosomatica. Non sono di certo rari i casi in cui, a seguito di un evento traumatico, il nostro corpo si esprime provocando una reazione lampante.
Non sempre si ha l’occasione, o la possibilità, di “decodificare” gli eventi traumatici vissuti e affrontarli emotivamente. Infatti, per poter affrontare al meglio ciò che si è vissuto, è importante che i bambini abbiano un adulto di riferimento che possa innanzitutto rassicurare e poi aiutare a dare un significato all’accaduto. Questo è importante non solo quando siamo bambini, ma anche e soprattutto da adulti è necessario affrontare un evento traumatico, un vissuto doloroso o un prolungato momento di stress per consentire di liberare il contenuto di sofferenza e dargli un valore personale. Quando ciò non avviene, ovvero quando non si affronta la sofferenza, si è portati a conservare i ricordi, a metterli da parte in qualche modo, come se si “cristallizzassero”, e di conseguenza questi ricordi e le loro emozioni non vengono mai elaborate.
Purtroppo però questo non significa che non ci siano più questi ricordi, che scompaiano, anzi la sofferenza costretta in un blocco emotivo comporta una serie di conseguenze, ad esempio vengono agite alcune modalità per “evitare”, oppure per “anestetizzare” o “confondere” questo dolore. Basti pensare alla dipendenza dall’eroina che Ray Charles ebbe per oltre 20 anni della propria vita!
In quest’ottica l’ipotesi può essere così ricostruita; un bambino di 5 anni che assiste inerme alla morte del fratellino come può difendersi da questo dolore? E quale organo può rappresentare il bersaglio se non gli occhi? La vista è dunque una delle possibili reazioni a ciò che non avrebbe voluto vedere, ad uno shock, a quelle immagini che si ripresentano ai suoi occhi… e con quali strumenti emotivi un bambino, e successivamente un adulto, può elaborare tanto dolore? Come può punire il proprio senso di impotenza?
Non dovendo più vedere, non assisterà più a tali drammi (a 9 mesi dalla morte del fratellino, Ray inizia a presentare segni di ciò che diventerà una vera e propria cecità!).
È oggi abbondantemente dimostrato dalla ricerca medico-scientifica che malattie, anche di origine infettiva, si focalizzino su un organo bersaglio che è per noi fragile e ne colpiscano la sua vulnerabilità.
Ma ora addentriamoci nella vita di Ray Charles. Frequenta dunque una scuola per ciechi in Florida ed è lì che conosce la musica e sviluppa il suo dono.
“Io sono nato con la musica dentro di me. È l’unica spiegazione che conosco per quello che ho realizzato nella vita.” Ray Charles
In seguito incontra altri dolori purtroppo, sempre da bambino perde la madre, e successivamente il padre, questo lo porta a trasferirsi di luogo in luogo fino a giungere a Seattle, dove inizia ad incidere dischi e diventa l’artista straordinario di successo che noi tutti conosciamo.
Raggiunge un notevole successo che attraversa gli anni 60, 70, 80 fino alla sua morte che avviene nel 2004. Anni di acclamazione e riconoscimento del suo talento, della sua musica, del suo dolore. Sì, perché attraverso la musica in tutti questi anni ad accompagnarlo c’è stata una grave dipendenza dall’eroina. Ray viene arrestato ben 3 volte per possesso di droga ed infine riuscirà a disintossicarsi in una clinica in California.
Una serie di dispiaceri e lutti portano Ray ad allontanarsi dal suo luogo d’origine, di cui perde per lungo tempo oltre che le immagini e le persone care, forse anche alcuni ricordi dolorosi d’infanzia.
Ma eccolo fare ritorno con una “sweet song” alla sua Georgia, ed ecco che si fa strada il senso di appartenenza al luogo, con il noto pezzo di Ray Charles “Georgia on my mind”, una cover ripresa da lui e adattata al contesto. Il testo in verità era stato scritto dal compositore Gorrell e rivolto a sua sorella, Georgia appunto, ma la canzone diventa popolare e diffusa nella versione di Ray Charles del 1960, dedicata questa volta allo stato della Georgia (Stati Uniti). Questo pezzo diventa il simbolo della riconciliazione dopo i conflitti per il riconoscimento dei diritti civili.
Il testo recita: “le mie braccia protendono verso di te, la mia strada mi riporta a te, nessuna pace posso trovare e questa canzone tiene i miei pensieri legati a te”. Come per ogni sua canzone Ray, per merito del suo grande talento vocale, riesce a trasformare qualsiasi brano in un’esperienza intima e interiore.
Ma cosa intendiamo quando parliamo di appartenenza?
Il memorabile Gaber cantava in merito all’appartenenza meravigliose parole che rendono bene il concetto: “L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. L’appartenenza è un’esigenza che si avverte a poco a poco, si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo, è quella forza che prepara al grande salto decisivo che ferma i fiumi, sposta i monti con lo slancio di quei magici momenti in cui ti senti ancora vivo. Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi”.
Ritornare alle proprie origini e poter riguardare se stessi è un passo decisivo per l’evoluzione della consapevolezza di sé. Spesso ci si allontana dalle proprie origini, in adolescenza a volte ci si vergogna di queste, si nascondono, si vogliono distanziare e allontanare dalla descrizione di sé. Ma è quando si fa ritorno, e si fa pace con se stessi, che si può ritornare alle origini e dirsi: “io sono anche questo”.
Perché dunque la nostra appartenenza è tanto importante? Il senso di appartenenza conferma qualcosa di cui tutti noi prima o poi ci siamo resi conto: che non si vive solo per se stessi, che sentirsi parte di un sistema, di un luogo, permette di esprimere aspetti diversi della nostra identità.
Se ci pensate è una delle prime domande che facciamo, e ci viene fatta, quando incontriamo o conosciamo qualcuno… “Come ti chiami? Cosa fai nella vita? Da dove vieni?”
Su che cosa ci può far riflettere il personaggio di Ray Charles?
Se inizialmente la sua vita era più una lotta per la sopravvivenza, successivamente diventa una scelta sostenuta dalla consapevolezza della propria storia e delle proprie origini. Infatti è grazie all’appartenenza ad un gruppo (la comunità nera), ad un luogo (la Georgia), ad una famiglia di origine che (seppure gli ha causato dolore) Ray Charles ha potuto esprimere sé attraverso la propria musica.
La musica non è più soltanto sopravvivenza, ma diventa musica come scelta di vita e dopo anche come presa di coscienza della propria identità.
Dott.ssa Francesca Scabbia